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GEOMORFOLOGIA

Il lago di Como:

La forma del lago di Como è per un certo verso unica nel panorama dei laghi di formazione glaciale. Infatti normalmente laghi di questo tipo, derivando da ghiacciai che fluivano in vallate, mostrano una forma allungata in una sola direzione (la sede della vallata) o con biforcazione a monte (il punto di confluenza di una vallata tributaria in quella principale). Il Lago di Como presenta invece una vallata con biforcazione a valle. Questa caratteristica, altrimenti inspiegabile, trova ragion d'essere in un fenomeno di cattura fluviale avvenuta nel periodo pliocenico. In poche parole, a quell'epoca, il fiume valtellinese principale percorreva il ramo di Como e di là raggiungeva la pianura, mentre l'antenato dell'Adda, che percorreva il ramo di Lecco, era molto più corto, con lo spartiacque appena a Sud di Bellano-Bellagio. Con il progredire verso monte dell'erosione da parte dell'Adda si verificò l'arretramento dello spartiacque fino a che il grande corso d'acqua valtellinese venne "catturato", cioè le sue acque incominciarono ad incanalarsi verso Lecco anzichè verso Como. Quest'ultimo ramo divenne in breve una valle fossile, come si può ben constatare oggi, mancando un emissario da questo lato del lago. L'esarazione dei grandi ghiacciai del Quaternario scavò quindi successivamente le valli modellandole secondo l'andamento già ereditato.

Un'altra considerazione: la profondità massima del lago (- 410 m circa) è superiore alla quota delle sponde (circa 200 m slm) e quindi il fondo del lago risulta di circa 200 m sotto il livello del mare! Questa caratteristica, peraltro comune a tutti i grossi laghi alpini di origine glaciale, trova spiegazione nel fatto che all'epoca dell'azione erosiva dei grossi ghiacciai in questione, il livello del mare era decisamente più basso dell'attuale, in quanto il Mare Meditterraneo era di fatto un grosso bacino salmastro chiuso allo stretto di Gibilterra. Per vedere il lago in tutta la sua magnificenza si consigliano le gite del Sasso Canale o del Corno di Bregagno o del Tremezzo.

 

I Laghi di Sirwoltesee:

Salendo alla gita del  Galehorn, dopo circa 1 ora abbondante di percorso si raggiungono i laghi in oggetto, o meglio cosa resta dei laghi in oggetto. Nella guida del CAS edizione 1991 si legge di "un paesaggio di grande bellezza" dominato da due bellissimi laghi quasi gemelli, uno di colore blu profondo, l'altro grigio e innevato. La situazione è ben visibile sulla carta CNS in scala 1:25.000, edizione 1993.

 

 

Proprio nel settembre di quell'anno (1993) per piogge molto intense il lago orientale è salito di livello fino a superare e quindi sfondare, per tracimazione ed erosione regressiva repentina, il cordone morenico che lo sbarrava lato valle sull'orlo del ripido pendio: l'erosione violenta delle acque ha in breve provocato il cedimento di tutto lo sbarramento con colate detritiche verso valle, per fortuna senza conseguenze, e il rapido svuotamento quasi totale del bacino lacustre.

 

Sulla destra il cordone morenico che faceva da sbarramento al lago orientale, sulla sinistra la valle provocata dall'erosione repentina delle acque di tracimazione

 

Ciò che oggi resta del lago orientale

 

Non si tratta purtroppo di fenomeni molto rari. Il cedimento di laghi come questi, per tracimazione o per sfondamento o per sifonamento, è sempre possibile quando l'invaso è delimitato lato valle da terreno sciolto o instabile magari sul bordo di ripidi pendii (si pensi alla tracimazione controllata del lago effimero della Val Pola nell'alluvione del 1987 in Valtellina o a quelle del lago effimero glaciale del Belvedere di Macugnaga nel 2003).

Ciò che resta degli originari laghi di Sirmoltensee è ben visibile nella foto sottostante: il lago occidentale, a sinistra, di colore intenso, spicca in tutte le sue dimensioni, mentre quello orientale, a destra, di verde lattiginoso, in origine addirittura più grande dell'altro, è ormai ridotto ad un paio di modeste pozze isolate.

 

Vista dei laghi di Sirmoltensee dalla vetta del Sirmolterhorn; si confronti la foto con la cartina sovrastante, antecedente all'evento.

 

Glaciomorfologia alla Sobretta:

Lungo la gita della Sobretta sono possibili numerose osservazioni di glaciomorfologia praticamente attuale. Il ghiacciaio del versante Sud di questa montagna infatti si sta ritirando ad una velocità impressionante: nel settembre del 2006, periodo della mia gita e delle foto sottostanti, ormai era limitato al fronte dalla isoipsa 3100, avendo abbandonato a valle un'area ghiacciata al suo destino. I rivi che scorrevano sulla superficie ghiacciata, senza alcuna protezione nevosa in nessun punto della superficie stessa, erano davvero notevoli, ad una prima stima con portate di parecchi metri cubi. A questa velocità di ablazione fra pochi anni del ghiacciaio non resteranno altro che detriti, come del resto già oggi visibile lungo il vallone di approccio alla montagna, con laghi glaciali in fase di interramento e limi glaciali sulle sponde (Fig.1): 

 

Fig.1: piccoli specchi d'acqua fossili con deposito di limi glaciali sulle sponde

 

oppure con bellissimi esempi di piane e soglie glaciali (Fig.2):

 

Fig.2: al centro della foto esempio di soglia glaciale

 

o ancora con piccoli cordoni morenici successivi e tracce colorate di vecchi corsi d'acqua ormai secchi, ora biancastre (se di origine da corsi d'acqua limosi e a bassa energia) ora rossastri (se da ossidazione delle rocce e in corsi d'acqua ad alta energia) (Fig.3):

 

Fig.3: la diversa colorazione del deposito testimonia l'energia della passata corrente.

 

GEOLOGIA & TETTONICA

1. La struttura delle Alpi, la Zona Ivrea-Verbano e il supervulcano della Valsesia:

Recenti intuizioni su strutture geologiche note, ma molto peculiari e oggetto di studi da parte di ricercatori di tutto il mondo, hanno permesso di individuare la presenza, circa 200 milioni di anni fa, di un enorme vulcano sito all'incirca dove oggi si insinua la Valsesia; entrando in Valsesia si osservano infatti via via rocce sempre più profonde (lave vulcaniche, poi rocce granitoidi, basiche, e infine del mantello; appartenenti alla cosiddetta Zona Ivrea-Verbano) che rappresentano uno spaccato lungo il camino dell'antico vulcano, attraverso tutta la crosta terrestre.

Prima di esaminare con maggiore dettaglio queste formazioni, è necessario inquadrarle nel contesto generale delle Alpi, fornendo un breve riassunto sulla struttura e formazione della nostra catena montuosa, utile anche come premessa a molti altri box di approfondimento.

 

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2. Panorami e osservazioni geologiche dal Teggiolo:

Il Teggiolo è un balcone panoramico privilegiato anche per poter ammirare la struttura a falde sovrapposte della catena alpina, con osservazioni sul Monte Leone, il Diei-Cistella, sulla geomorfologia locale con caverne carsiche che si aprono nei calcescisti e influenzano alcune lente deformazioni e cedimenti dei versanti.

 

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3. L'Adamello Meridionale:

L'Adamello Meridionale è geologicamente una delle zone più studiate al mondo per poter osservare i rapporti tra la massa magmatica e le rocce incassanti: queste ultime infatti, grazie alla composizione particolare (calcari silicei), hanno subito, per la "cottura" operata dal calore del magma a contatto e alla migrazione di fluidi, una serie di trasformazioni in minerali particolari. Inoltre, l'intrusione del magma a livelli piuttosto superficiali, permette anche di esaminare i meccanismi di messa in posto del magma stesso. Ancora, nella parte meridionale del massiccio, si sovrappongono litologie differenti, che permettono di studiare la cronologia di formazione, differenziazione e messa in posto dei diversi tipi di magmi intrusivi.

 

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4. Metamorfismo di contatto alla Cima Uzza:

 

Nel massiccio tonalitico dell'Adamello, già di per sè interessantissimo, la zona attorno alla cima Uzza è tra le più particolari; qui le rocce più basiche (e calde) dell'intero massiccio hanno inglobato e fagocitato i calcari incassanti, dando origine a strutture meravigliosamente esposte lungo le pareti della montagna e bellissimi minerali al contatto, differenti a seconda delle condizioni di pressione, temperatura e fluidi presenti nei vari settori. Inoltre c'è una notevole varietà di litotipi magmatici da esaminare nei reciproci rapporti di intrusione.

 

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5. Deformazioni pseudofragili nell'Adamello Settentrionale:

Nel massiccio dell'Adamello, il settore settentrionale è caratterizzato da strutture deformative particolari, prevalentemente di taglio, per la presenza di lineamenti tettonici che si sviluppano a livello regionale (Linea del Tonale a Nord e Linea delle Giudicarie ad Est). Questi lineamenti, oltre a delimitare la terminazione Nord-Orientale del massiccio tonalitico, determinano la morfologia locale, con canaloni e forre alla mesoscala, e la formazione di strutture microscopiche particolari (pseudotachiliti), testimonianze di antichi eventi sismici.

 

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6. Le falde di ricoprimento in Val D'Ossola:

La costiera Pioltone-Giezza è la zona migliore per un colpo d'occhio e d'insieme sulla struttura a falde di ricoprimento delle Alpi, e in modo particolare sugli elementi inferiori I-II-III-IV della classica ricostruzione di Argand, nonchè sulla struttura di interferenza (piega ripiegata) del Monte Leone e sui rapporti tra le falde I-II della costiera Diei-Cistella.

Nell'area di Ciamporino, sul fianco opposto della Val Diveria, andiamo invece a toccare con mano questi ultimi rapporti, così come quelli generali, da un altro punto di vista.

 

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7. Le falde di ricoprimento Austroalpine:

La struttura a falde sovrapposte dell'edificio alpino si riconosce in vari punti della catena; ma dove grosse bancate di rocce cristalline si sovrappongono orizzontalmente a sedimenti calcarei, la cosa raggiunge la sua massima espressione ed evidenza. Nella zona Languard-Breva, oltre a tali osservazioni, si possono studiare, dal livello microscopico a quello regionale, anche i rapporti tra le falde nella zona di passaggio tra il cosiddetto Pennidico e Austroalpino, oggetto di recenti analisi specialistiche.

 

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8. Le serpentiniti dell'Alta Valmalenco (e il plutone del Masino-Bregaglia):

In Valmalenco sono presenti numerose cave che sfruttano rocce verdi facilmente lavorabili: sono le serpentiniti, così chiamate dal loro aspetto che richiama la pelle di serpenti. Dalle rocce di queste cave si ricavano oggetti di vario genere di "pietra ollare". A monte di Chiareggio, si possono esaminare tali rocce, come quelle da queste derivate; qui particolarmente interessante è la vicinanza con il plutone del Bregaglia, che durante la sua messa in posto ha "cotto" le rocce serpentinitiche al contatto; come all'Adamello è pertanto possibile esaminare la zonazione dei nuovi minerali di formazione, su una litologia però completamente differente. Altra zona privilegiata è quella attorno a Campo Moro dove le serpentiniti assumono un aspetto tipicamente scistoso rendendo visibili i complessi rapporti strutturali con le unità limitrofe.

 

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9. La Zona Milonitica del Turba:

Al Piz Turba una notevole fascia milonitica, immediatamente riconoscibile dal disegno della morfologia, è stata associata a sollevamenti della catena alpina nella fase terminale della costruzione della stessa, in analogia ad altre linee tettoniche presenti in altre regioni della catena.

 

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10. Il Lembo austroalpino del Ponton:

Un cocuzzolo di rocce appena differenti da quelle limitrofe (Ponton), apre uno scenario completamente inaspettato, con il riconoscimento di rocce di origine paleoafricana sovrapposte a rocce di origine paleoeuropea; interpretazione ulteriormente rivista e affinata nelle più recenti analisi e studi, grazie alle moderne tecniche che permettono di datare con precisione i vari eventi metamorfici, ricostruendo così il percorso di discesa-risalita delle rocce in profondità.

 

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11. La Falda Monte Rosa in Valle Antrona:

Il Monte Rosa, dal punto di vista geologico, è un enorme massiccio granitico dalla caratteristica struttura a testa di uccello, che svela una formazione complessa e polifasica al suo interno e lungo i suoi bordi. In Valle Antrona si può esaminare tale struttura in diverse situazioni, tutte cruciali per poter decifrare, svolgendo il nastro, la complicata storia deformativa della catena alpina.

 

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12. La Zona Camughera-Moncucco:

Accoppiata alla Falda del Monte Rosa, ma ad un livello strutturale appena inferiore, la Zona Camughera-Moncucco (così chiamata dalle principali cime che interessa), come il Monte Rosa, è cruciale per la definizione della storia deformativa di questo settore delle Alpi. Da queste cime inoltre è possibile esaminare la cosiddetta struttura a doppia vergenza della catena alpina nella zona di serraggio (zona delle radici), cioè nella zona di collisione tra le placche continentali, con le grandi linee tettoniche che la delimitano.

 

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13. Metamorfismo di altissima pressione al Lago di Cignana:

Le rocce attorno al Lago di Cignana sono particolarissime, e presenti in pochissimi altri siti delle Alpi e più in generale delle catene alpine del mondo. In particolare sono caratterizzate dalla presenza di coesite, una varietà di quarzo stabile solo a pressioni molto elevate. Tale minerale testimonia la presenza fossile di pressioni eccezionali in rocce originariamente formatesi in condizioni crostali superficiali, e cioè la capacità dei movimenti di subduzione terrestri, associati all'orogenesi, di trasportare velocemente, a profondità eccedenti i 100 km, dei materali in origine in superficie e, altrettanto velocemente, di riportarli in superficie, in modo tale che i minerali formatisi in condizioni estreme restino "congelati" nelle rocce. Le unità tettoniche associate e presenti in Valtournenche permettono inoltre di inquadrarle nel contesto generale di questo settore della catena alpina.

 

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14. Deformazioni duttili al lembo del Pillonet:

Il lembo del Pillonet, come quello del Ponton o altri similari presenti in Valle d'Aosta, rappresenta un frammento del continente paleoafricano sovrascorso, e poi eroso, sul continente paleoeuropeo. Alla cima di Nana questo lembo, oltre essere magnificamente esposto, mostra alcune litologie calcaree, molto sensibili alla deformazione, che disegnano pieghe sovrapposte e intersezioni geometriche che permettono di ricostruire nel dettaglio la storia di messa in posto di questo settore di catena alpina.

 

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15. Le peridotiti granatifere dell'Alpe Arami:

Ai primi anni 2000 la zona dell'Alpe Arami è balzata nella cronaca giornalistica locale per titoli sensazionalistici sulla possibile presenza di diamanti nelle rocce. Alla base di tale assunto, ovviamente molto esagerato, un acceso dibattito tra gli studiosi di scuola americana e quelli di scuola svizzera inerenti i minerali presenti nelle peridotiti granatifere dell'Alpe Arami, rocce già di per sè piuttosto enigmatiche. Alcune scoperte mineralogiche degli studiosi americani indicano infatti per queste rocce profondità di formazione anche di 400 km, in aperto contrasto con l'inquadramento generale proposto dagli studiosi svizzeri (profondità inferiori a 100 km ) per tali rocce all'interno della Falda Adula.

 

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16. Le rocce ipovulcaniche di Monte Campione:

Lungo la catena divisoria tra Val Camonica e Val Trompia, e ancora più ad Est, come in Val Caffaro, oppure alla testata delle Alpi Orobie, affiorano rocce arenacee rossastre, che ricordano regioni lontane inglesi ed americane; associate a queste sono formazioni sedimentarie particolari (Collio), talora conglomeratiche (Verrucano Lombardo) e filoni vulcanici testimoni di ambienti molto differenti dagli attuali. Per quanto le rocce sedimentarie non costituiscano un mio particolare interesse, questa regione è molto peculiare e degna quindi di essere descritta.

 

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17. Contrasti rocciosi al Lago Retico:

A parere di molti il Lago Retico è uno dei più belli laghi alpini. Il contrasto tra le rocce compatte chiare granitiche della sponda settentrionale e quelle scistose nere della sponda meridionale è incredibile. Qui si affrontano, e si compenetrano, il paleocontinente africano e quello europeo con immani strutture geologiche. Più a Sud affiora estesamente la Falda Adula, una delle più interessanti di questo settore delle Alpi, che andiamo a descrivere in dettaglio.

 

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18. Policromia attorno al Julierpass:

Attorno al JulierPass affiorano rocce calcaree e silicee, in un puzzle di unità tettoniche, che producono una varietà di colori, composizione e strutture, davvero sorprendente e che vale la pena di esaminare con maggior dettaglio. Siamo nella cosiddetta Zona di Samedan, al'interno dell'Austroalpino, ma a cavallo tra unità di pertinenza Pennidica e Austroalpina, quindi di settori paleogeografici differenti. Con i massicci dell'Err e del Platta un settore chiave della ricostruzione alpina dove si riesce a ricostruire quello che era il margine continentale della placca Adria fino ai fondali oceanici.

 

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19. Le antiche linee di costa della Tetide in Val Maira:

Alla testata della Valle Maira incontriamo potenti fasce litologiche di quarziti-scisti verdi, calcescisti e carbonati che disegnano, come in una enorme carta geografica, la paleogeografia precedente la formazione della catena alpina, a circa 150 milioni di anni fa.

 

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20. I massicci cristallini esterni - l'Argentera:

Il massiccio dell'Argentera, nonostante la scarsa altezza, sorprende per l'asprezza del paesaggio, tutto guglie e canaloni. E' lo stesso paesaggio che troviamo più a Nord in gruppi più blasonati come l'Ecrins, il Bianco o le Alpi Bernesi. In effetti tutti questi gruppi hanno una medesima origine appartenendo ai Massicci Cristallini Esterni delle Alpi, massicci di età tardo-paleozoica, baluardi contro l'avanzare dell'orogenesi alpina, a cui si sono opposti offrendo una certa resistenza, frantumandosi fragilmente e dando così forma al caratteristico aspetto di queste montagne.

 

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21. Le eclogiti e i graniti di alta pressione del Mucrone:

La Zona Sesia-Lanzo è una delle più famose di tutte le Alpi, caratterizzata da associazioni metamorfiche particolari (scisti blu ed eclogiti) che indicano condizioni di alta pressione e bassa temperatura tipiche delle zone di subduzione precedenti la collisione continentale. Associate alle eclogiti, sono rocce granitoidi (gneiss minuti) caratterizzate da bande chiare che disegnano bellissime strutture dove esposte, come per esempio nella bassa Valle d'Aosta. Al Mucrone queste rocce granitoidi di alta pressione mostrano relitti di bellissime strutture magmatiche, tra le più belle ed uniche di tutto il mondo.

 

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22. Un puzzle di falde tettoniche in Valtournenche:

L'alta Valtournenche è caratterizzata da estese praterie disegnate da calcescisti con pietre verdi, testimonianza dell'antico oceano della Tetide, a cui si sovrappongono rocce carbonatiche e silicee di varia provenienza, a creare un puzzle di falde tettoniche di difficile collocazione, ma il cui corretto riconoscimento è essenziale per la ricostruzione della paleogeografia e storia evolutiva della catena alpina.

 

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23. Le eclogiti del Trescolmen:

Attorno al Lago di Trescolmen affiorano bellissime rocce, le eclogiti, appartenti alla Falda Adula, la cui corretta valutazione ed inquadramento è decisiva per risolvere la storia evolutiva della Falda Adula, molto complessa e caratterizzata in numerosi altri punti, da eclogiti e non solo, come per esempio le enigmatiche peridotiti granatifere del'Alpe Arami.

 

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24. Linee tettoniche in Val Vigezzo:

La Val Vigezzo è intagliata lungo una linea tettonica complessa (Vigezzo-Centovalli) ancora non ben definita nei suoi prolungamenti laterali, e che ha giocato un ruolo fondamentale nell'assetto strutturale finale delle Alpi centroccidentali. In questa area molte unità tettoniche sono stirate e raddrizzate quasi verticalmente: in pochi metri si attraversano pertanto diversi livelli crostali con il risultato di una morfologia molto particolare nel paesaggio.

 

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25. Le zone di shear del Mont Colmet, il Rutor e iI massiccio cristallino esterno del Monte Bianco:

Lungo le pendici del Mont Colmet affiorano rocce bellissime, caratterizzate da conglomerati tardopaleozoici con un grado di deformazione dei singoli ciottoli molto variabile da punto a punto, che permettono analisi strutturali quantitative molto precise sulle pressioni subite durante l'orogenesi alpina. Ma è anche tutta la zona attorno al Rutor, sempre all'interno della falda del Gran San Bernardo, ad essere geologicamente interessante. Dalla vetta, l'imponente massiccio del Bianco di fronte chiarisce il suo ruolo nella formazione della catena alpina, baluardo all'avanzata del cosiddetto Fronte Pennidico, come gli altri massicci cristallini esterni.

 

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26. La Geologia del Devero e del Veglia (e Formazza):

Il Devero e il Veglia sono due posti incantevoli con una cornice di vette formate da unità tettoniche sovrapposte in modo complesso e spettacolare. Qui si è sviluppato, ai primi del novecento, il concetto di catena alpina a falde di ricoprimento sovrapposte.

 

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27. Le falde tettoniche del Ticinese:

Tutto il Ticinese è un sovrapporsi pseudorizzontale di unità tettoniche di tipo granitico con interposti livelli più o meno continui di carbonati; solo agli estremi Nord e Sud del settore, le unità tettoniche si raddrizzano fino a diventare pseudoverticali e stirate. Riconoscere le varie unità tettoniche lungo le gite della zona, a seconda del livello strutturale, è un interessante esercizio geologico.

 

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28. Le strutture geologiche del Campolungo:

Alla piana di Campolungo affiora una delle formazioni strutturali più spettacolari di tutte le Alpi: una enorme bancata di carbonati, metamorfosati in marmi, disegna una figura di interferenza, cioè un piega ripiegata durante due eventi deformativi successivi, ognuno dei quali ha prodotto minerali di neoformazione, tra cui due generazioni di tremolite, in cristalli allungati di dimensioni anche decimetriche. Ma tutta l'area in oggetto è degna di osservazioni geologiche di grande interesse.

 

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29. A cavallo della Linea Insubrica in Valtellina:

La Valtellina, con il suo andamento anomalo parallelo alla catena alpina anzichè perpendicolare, lascia intuire la presenza di un notevole accidente tettonico lungo il suo corso che ne abbia influito in origine il suo sviluppo. Effettivamente tra il versante a Nord (Retico) e quello a Sud (Orobico) della valle esiste una profonda diversità nel tipo, età e metamorfismo delle rocce, dovuto alla presenza della cosidetta Linea Insubrica, importantissimo accidente tettonico della catena alpina, dal significato non del tutto chiarito, ma che sostanzialmente costituisce la sutura della collisione tra il continente paleoafricano a Sud (versante orobico) e quello paleoeuropeo a Nord (versante retico).

 

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30. La geologia della Valle Spluga:

La Valle Spluga è caraterizzata da due falde tettoniche imponenti, la falda Tambò e la falda Suretta, che affiorano rispettivamente sul fianco destro e sinistro della Valle. I bellissimi pianori attorno a Madesimo e sul fianco opposto al Piano dei Cavalli sono invece nei teneri calcescisti interposti. Tali falde, composte da rocce cristalline molto resistenti che disegnano una morfologia aspra nella valle, sono le più alte dell'edificio alpino del cosidetto dominio Pennidico, cioè quella parte di catena profondamente deformata in quanto implicata direttamente nella collisione tra i continenti europeo ed africano.

 

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Curiosità:

L'incisione sulle rive del laghetto di Capezzone

Salendo da Campello Monti verso la cima del M.Capezzone, dopo circa 2 ore di cammino si arriva sulle sponde del laghetto di Capezzone dove sorge il piccolo rifugio privato Traglio. Sulle sponde del lago, su una pietra un po' discosta dalla riva è possibile leggere la seguente incisione "1825 GAU PECO LORZO DAGO G.BATTA RINOUDI MINO IL PRTE LATO PROFDO BZA 19 CIRZA BZA 110" che tradotto significa "nel 1825 Gau Peco, Lorenzo Dago e Giovanbattista Rinoudi misurarono il presente laghetto profondo braccia 19, circonferenza braccia 110". Cosa effettivamente non lontana dal vero ...

 

 

 

 

Il villaggio di Grevasalvas

Salendo alla gita del  M.Grevasalvas, dopo appena 15 minuti dalla partenza (Plan da Lej - Passo del Maloia) ci si imbatte in un bellissimo villaggio di montagna, tutto in legno, con vista sui laghi e sulle montagne dell'alta Engadina. Pare che questo villaggio abbia ispirato le famose vicende del cartone animato di Heidi e sicuramente vi sono state girate le scene del film omonimo. Davvero un posto idilliaco.

 

  

 

 

 

Il colore dei laghi

Lago Nero, Lago Blu, Lago Bianco, Lago Verde.....sono innumerevoli le variazioni di colore dei laghi alpini, che finiscono di dare il nome ai laghi stessi.

Ma qual'è la vera causa della colorazione dell'acqua, spesso così diversa anche in specchi d'acqua limitrofi?

 

I laghi occidentale ed orientale del Sirmontelsee, il secondo purtroppo quasi scomparso e ridotto ad un paio di chiazze, hanno due colorazioni completamente diverse per quanto siano attigui

 

Vari sono i fattori: profondità e limpidezza dell'acqua, tipo di rocce affioranti sul fondo e sulla sponde, incidenza dei raggio solari, ecc.

Ovviamente i laghi bianchi devono la loro colorazione alla superficie ghiacciata per gran parte dell'anno oppure alla riflessione della neve dalle sponde:

 

Lai Blanc sulla via del Gannaretsch, di colore bianco perchè ghiacciato per buona parte dell'anno

 

I laghi verdi di norma dipendono dalla presenza di limo glaciale nell'acqua, trasportato da limitrofi ghiacciai più o meno grandi, che da' un diverso grado di torbidità all'acqua a seconda dell'abbondanza e quindi di sfumatura nel verde:

 

Lai Verd sulla via del Gannaretsch (Passo del Lucomagno), di colore verde smeraldo; il ghiacciaio che lo alimenta, alle sue spalle, è decisamente modesto

 

Lago Moiry nel Vallese, dal colore verde intenso; il ghiacciaio che lo alimenta, non visibile a destra della foto, è notevole discendendo dal gruppo della Dent Blanche con bacino di alimentazione a circa 4000 mt; più in basso e leggermente a destra nella foto è il lago di Autannes di colore invece blu intenso (vedi foto a parte più avanti)

 

Lago Pirola nel gruppo del Cassandra-Disgrazia, dal colore verde chiaro; qui il limo è apportato più che altro dal contatto con le morene laterali

 

Per i laghi blu la gradazione di colore dipende dalla diversa entità di incidenza della luce, dalla profondità, dal tipo di rocce sulle sponde e sul fondo, dall'azzurro del cielo, passando dal quasi nero all'azzurro più chiaro e variando anche per lo stesso specchio d'acqua a seconda dell'ora della giornata.

 

Lac des Autannes, nel Vallese, di colore blu intenso

 

Lai Blau presso la cima omonima, sulla via del Gannaretsch, di colore quasi azzurro, ma molto variabile a seconda dell'ora della giornata e dall'angolo di ripresa; qui il colore riflette essenzialmente quello del cielo

 

Il Lago Storto, il cui nome deriva dalla curiosa forma, di colore quasi nero, in parte anche per la giornata nuvolosa

 

Il Lago Retico, meraviglioso catino blu, deve la sua bellezza anche alle contrastanti rocce affioranti sulle sponde (scisti neri a sinistra, graniti bianchi a destra)

 

Il modesto lago ai piedi del ghiacciaio del Piz Lagrev ha un colore verde acquamarina incredibilmente saturo

 

Uno dei laghi da me preferiti è il misconosciuto Lai Verd lungo la gita al Gannaretsch: salendo al lago seguendo il corso dell'emissario si ha l'impressione di arrivare al lago da dentro, in quanto si raggiunge improvvisamente la sponda con l'acqua a pochi centimetri che quasi sfiora la tracimazione; il colore smeraldino dovuto  al limo glaciale del modesto ghiacciaio del Piz Vatgira, i picchi rocciosi nell'intorno e la più completa solitudine (non ci sono sentieri e pochissimi escursionisti salgono lassù nell'arco dell'anno) lo rendono davvero unico. Purtroppo, la quota dell'acqua e la sponda di valle in materiale morenico, lo rendono a concreto rischio di prosciugamento in caso di tracimazione e conseguente sfondamento del paramento a valle come già successo per il lago orientale di Sirmontelsee (vedi).

 

Il fantastico Lai Verd, uno smeraldo incastonato fra la neve e le rocce granitiche

 

 

 

La nicchia di San Glisente

Al ritorno dalla gita al Crestoso  e lungo la gita al Monte Frà non possiamo esimerci dalla visita alla nicchia di San Glisente, un costone roccioso di arenarie del Verrucano, posto alla base della cresta che porta al Monte Frà, con una nicchia scavata al piede della roccia e una croce in alto.

 

 

Più oltre, sulla cresta Nord della stessa montagna si trova anche la Colma di San Glisente e ancora oltre, più in basso, addirittura l'Eremo di San Glisente. Ma chi era Glisente?

La leggenda più interessante lo vuole un nobile guerriero franco al servizio di Carlo Magno che stufo delle battaglie e violenze chiese ed ottenne da Carlo di abbandonare l'esercito e di ritirarsi in eremitaggio spirituale sulle montagne, in questo seguito dai suoi fratelli Fermo e Cristina, anch'essi al servizio di Carlo Magno.

I tre vivevano in aree montane lontane e per tenersi in contatto la notte accendevano dei falò. Ogni mattina Glisente era svegliato da una cerva con in bocca un ramo di frutti d'oro e un lupo che portava legna da ardere. Nel suo eremo Gliesente, come del resto i suoi fratelli nelle valli limitrofe, si dedicava alla preghiera e alla raccolta di erbe officinali, mentre la nicchia pare fosse il luogo privilegiato per le sue meditazioni.

Con gli anni ad uno ad uno i fuochi notturni si spensero, ma l'ultimo non fu quello di Glisente bensì quello di Fermo (il Colle di San Fermo è più a Sud, tra il lago di Endine e di Iseo).

A questo punto una visita anche all'Eremo di Glisente, dove sono presenti anche varie testimonianze del santo, è d'obbligo.

 

 

 

Il passo delle Sette Crocette

Lungo la gita al  M.Frà transitiamo dal Passo delle Sette Crocette, che deve il nome ad una serie di piccole croci curiosamente conficcate in un muretto a secco.

 

 

Se ci passiamo in una giornata lugubre o nebbiosa il tutto ha un qualche aspetto di misterioso se non di inquietante. A ragione!

Sui motivi che hanno portato alla costruzione di un simile muretto non vi sono infatti certezze, ma anzi sono fiorite numerose leggende più o meno plausibili, che vanno dal voto per debellare strane presenze di fantasmi, o esorcismi di streghe, fino alla memoria di un gruppo di banditi qui uccisi da altri manigoldi. Quello che sembra probabile è: la data impressa sul cippo della pietra, 1668, il fatto che le crocette presenti non siano quelle originali (in legno?) ma sostituite tempo fa con quelle in metallo, e che le stesse erano in origine in numero ancora maggiore (forse una decina).

 

 

 

Un meteorite per il Lago di Tremorgio?

Dalla cima del Poncione di Tremorgio ci appare alla vista il meraviglioso lago di Tremorgio, dalla forma perfettamente circolare. Il lago è anche molto profondo, circa 250 m, con una concavità assolutamente regolare e il punto più profondo del lago situato quasi nel suo centro geometrico.

 

 

La spiegazione classica, che vuole la sua origine da una dolina carsica poi approfondita ad opera dei ghiacciai quaternari, non è del tutto convincente, anche per il contesto e l'ubicazione anomala.

Da qui una ipotesi alternativa, che si potrebbe ritenere anche un po' balzana se non fosse stata formulata da eminenti studiosi del prestigioso ETH di Zurigo: esso testimonierebbe l'impronta dell'impatto con un meteorite avvenuto circa 12.000 anni fa.

Le ragioni che gli studiosi del Politecnico di Zurigo adducono sono:

- la forma perfettamente circolare del lago con il centro geometrico ubicato ad appena 40 m dal punto più profondo (su un diametro di oltre 1400 m);

- la presenza di fratture radiali e tangenziali sull'impronta del cono, che non trovano spiegazione in altre ipotesi;

- anomalie nella struttura dei cristalli di quarzo osservabili al microscopio (piccoli globuli, micrigranuli, ecc.);

- forme particolari chiamate a "shatter cone", dei campioni di roccia che non trovano riscontro nelle strutture tettoniche delle rocce presenti in zona.

Con queste basi di partenza sono state sviluppate altre ricerche nell'area, tendenti a trovare riscontri a questa ipotesi. Ma la "canna fumante" (per esempio tracce del meteorite originario o elementi specifici ad esso attribuibili, forme poliforme del quarzo ad alta temperatura nelle rocce in loco, ecc.) non è stata mai trovata.

Il mistero tuttavia resta.....

 

 

 

 


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